mercoledì 30 gennaio 2019

VIAGGIO IN GIAPPONE

DI CHE SANGUE SEI?

“Di che segno sei?” “Sagittario.” “Bello! Io invece sono del leone.” Questo potrebbe essere uno spezzone di una tranquilla conversazione condotta da due ragazze italiane, magari al tavolo di un bar, davanti a dei cappuccini fumanti.
Nel frattempo, sul lato opposto del pianeta Terra, due teenager giapponesi impostano un dialogo simile, probabilmente sedute su delle poltrone della catena di caffé Starbucks, mentre sorseggiano con la cannuccia un frappuccino gusto fragola o con i marshmallow (!). “Qual è il tuo gruppo sanguigno?” “AB” “Wow! Allora sei una creativa, beata te, io sono una A.”
No, non è una presa in giro, non si tratta dell'ennesima leggenda metropolitana sul conto dei giapponesi, ma di una convinzione diffusa nel Paese da cui provengono i manga e le borsette di Hello Kitty.


IN PRINCIPIO…
In Giappone, secondo la convinzione popolare a determinare carattere e destino degli individui più che gli astri è un molto terreno gruppo sanguigno. Tale convinzione nasce prima della Seconda Guerra mondiale, nel 1927, grazie a uno studio di un esimio professore che viene utilizzato nientemeno che dalla marina e dall'esercito per organizzare le truppe. Dopo la guerra le preoccupazioni sono ben altre e per un po' non si sente più parlare di gruppi sanguigni. Fino al 1971, quando la pubblicazione del libro Katsuekigata de Wakaru (“Comprendere la compatibilità dei gruppi sanguigni”) di Masahiko Nomi riporta alla ribalta questa particolare teoria. Al volume ne seguono molti altri, dedicati al medesimo argomento e spesso venduti in milioni di copie. I gruppi sanguigni diventano una mania nazionale e oggi non vi è giapponese che non conosca il proprio e non sappia a quali caratteristiche corrisponda.

AA: AMORE & AFFARI
Come i segni zodiacali, i gruppi sanguigni servono anche a determinare quale sia la propria anima gemella: una ragazza col gruppo 0 troverà un principe azzurro col gruppo B, un ragazzo col gruppo AB farà meglio a cercare una principessa col gruppo B. Altro che sangue blu, qui sono A, B, AB e 0 che fanno la differenza e le agenzia che combinano incontri a scopo matrimoniale richiedono il gruppo subito dopo nome ed età.
Anche al lavoro il sangue non è acqua, e può fare la differenza. Il gruppo sanguigno viene spesso indicato sui curricula e preso in considerazione da talune aziende quando si tratta di assumere personale. Già, perché se il gruppo AB identifica le persone maggiormente creative queste saranno più adatte, per esempio, per svolgere il lavoro di designer. Se invece si cerca un impiegato pronto a obbedire agli ordini è meglio un A, meno originale ma perfezionista e poco incline a contraddire il capo.

MARKETING AL SANGUE
In un Paese in cui tutto può essere venduto, i gruppi sanguigni diventano utili anche per veicolare prodotti di ogni tipo. Come i preservativi della linea ABOBA, diversi a seconda del gruppo di chi deve usarli. O la bibita Pokka, una sorta di soda disponibile in gusti diversi a seconda del consumatore. O, ancora, dei pupazzini portafortuna della serie robotica Gundam, ovviamente differenti in base al gruppo.
Resta la domanda finale: la teoria dei gruppi sanguigni funziona? La nostra risposta è: non lo sappiamo, ma la bibita pokka è buona, i pupazzetti di Gundam molto kawaii (“carini”), mentre sull'efficacia dei preservativi non ci pronunciamo…

sabato 12 gennaio 2019

VOLETE VISITARE IL GIAPPONE?

TRADIZIONE & MODERNITÀ

Tokyo, un continuo oscillare tra tradizione e modernità.


mercoledì 2 gennaio 2019

SCARPE E LIBERTÀ



Nel corso dei miei frequenti viaggi a Tokyo passo molto tempo in metropolitana. Le innumerevoli linee locali sono veloci, efficientissime e raggiungono quasi ogni angolo della metropoli. Tuttavia, trattandosi, appunto, di una metropoli percorrere lunghe distanze può richiedere parecchio tempo. Il più delle volte riempio tali intervalli temporali esercitando un’insolita attività: il people watching, ovvero l’osservazione delle persone, pratica da cui si possono trarre interessanti insegnamenti sulle abitudini di un popolo. Anzi, per essere preciso, mi impegno nel più divertente shoes watching, osservazione delle scarpe. Che noia penserete voi (qualcuno avrà detto anche “che idiozia”, lo so, vi leggo nella mente), ma solo perché non siete mai stati su un vagone metropolitano della capitale giapponese. Le curiosità, o stramberie per esser più chiari, sono parecchie e quelle relative alle scarpe, e a come vengono indossate, sono tra le mie preferite. Beh, che ci sarà mai di strano, penserete voi ingenui lettori. E io vado subito a informarvi. Innanzitutto sappiate che nelle case giapponesi è severamente vietato indossare scarpe, che devono essere lasciate all’ingresso con la punta rigorosamente rivolta verso l’esterno. Che c’entra? Chiedere ancora voi scettici… C’entra, perché molti giapponesi prendono l’abitudine di togliersele anche durante i lunghi viaggi, in aereo come in treno o in metro. Ovviamente non nell’orario di punta, dato che tra quella folla non le troverebbero più. Negli orari di maggiore quiete, invece, può capitare di vedere seriosissimi salary man a piedi scalzi, con pedalini in bella vista senza che nessuno si meravigli della cosa, a parte qualche gaijin, straniero, come me. Bisogna poi considerare che i giapponesi di moda capiscono ben poco, quindi finché indossano abiti, e scarpe, in qualche modo legati all’ambito lavorativo o scolastico, e quindi rispondenti a rigidi codici impostigli, tutto è abbastanza omologato e normale. Quando però sono liberi dalle convenzioni sociali, per esempio al di fuori della scuola (che impone delle divise) o nei giorni di festa, fanno di testa propria e si sbizzarriscono scegliendo calzature che sembrano scaturite dalla mente di designer impazziti. Le donne azzardano scarpe leopardate con tacco vertiginoso, sportive di un argento luccicante, stivaletti ricoperti di finta pelliccia. Gli uomini propongono avventurose calzature dalle lunghissime punte (simboli fallici?), scalcinate e consumatissime scarpe da tennis, “gemelle diverse” con colori differenti. I più giovani non temono neanche di indossare ciabatte da doccia in plastica, scarpe da ginnastiche con scritte aggiunte a mano, sfavillanti infradito (ottime quando vi schiacciano un piede tra la folla).
Il campionario è insomma vario e variopinto, e molto ci sarebbe da dire anche riguardo gli abbinamenti con le calze. Gli orribili e scomodissimi calzini con dita fanno quasi impressione, mentre calze corte con pon-pon o merletti adornano caviglie femminili che non temono il kitsch. Tutta questa anarchia pedestre, tuttavia, mi dona sempre una manciata di allegria e, in fondo, rappresenta un pizzico di ribellione da parte di un popolo fin troppo prigioniero di etichette e convenzioni, quasi fosse un sussurro di libertà che può essere colto solo da chi sa ascoltare (e osservare) con attenzione. Scarpe di tutta Tokyo, unitevi!